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Il canto antico di Napoli

Si è abituati a pensare alla canzone napoletana come quella dei grandi poeti e musicisti di fine '800 e inizio '900 che è diventata popolarissima in tutto il mondo e che viene eseguita e registrata da grandi nomi della musica internazionale.

Sono poche le città al mondo capaci di mostrare un attivismo così costante nel campo musicale come Napoli. Città dai mille contrasti e dalle mille contraddizioni, dove il bello è meraviglia e il brutto tragedia. Nella storia la musica non ha mai cessato di vivere a Napoli. Popolare, colta, frutto di accademiche e articolate tecniche esecutive di abili musicisti o espressione istintiva della “gens neapolitana” ma sempre presente nei secoli, sopravvissuta a pestilenziali epidemie come a rivolte popolari.

 

Possiamo dire che anche oggi la città manifesta una serie di tipologie ed espressioni musicali che le conferiscono una grande ricchezza culturale. Quante sonorità sono nate e si sono evolute: pensiamo a Roberto de Simone, a Pino Daniele, a Enzo Avitabile, agli Zurzolo, a Daniele Sepe, ai fratelli Bennato, a Senese, Onorato, Cannavacciuolo,Marcello Colasurdo, Gragnaniello, Tony Esposito, al nutrito gruppo di jazzisti, ai rapper. 

 

Il '700 vede Napoli protagonista della cultura musicale europea: ben quattro conservatori, nati inizialmente come luogo di “recupero” di orfani e bambini abbandonati poi divenuti importanti scuole di musica, ricche di giovani musicisti e di quegli eunuchi (che avevano spazi e una vita a parte) divenuti fra i più famosi al mondo, che vedranno la presenza come allievi o come insegnanti (a volte gli stessi alunni diventeranno i didatti) di figure del calibro di Porpora, Jommelli, Provenzale, Leo, Durante, Paisiello, Cimarosa, Pergolesi, Leo Vinci. L'opera buffa rappresenterà la massima espressione di una vera Scuola a cui faranno riferimento musicisti di tutta Europa, Mozart compreso. Ed è veramente inspiegabile lo scarso spazio che anche negli istituti ufficiali si dà a questo repertorio.

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Ma anche nel XVI secolo Napoli è stata all'avanguardia nella creatività musicale. Non è più la capitale del Regno; durante il periodo aragonese i regnanti avevano dato alla lingua napoletana un grande spazio mentre nel periodo del viceregno, dove Napoli diventa una sorta di colonia, il "napoletano"viene allontanato da corte. Ma l'esplosività artistica trova comunque uno sviluppo nella nascita della villanella, forma musicale che viaggerà in contemporanea e in parte in contrapposizione col più accademico madrigale. La prima fonte che abbiamo è quella di Joannes de Colonia, un editore, che nel 1537 pubblica il primo libro di "Canzoni villanesche alla napolitana"; di lui si sa pochissimo, nulla ci è arrivato di antecedente e successivo a questa raccolta conservata in Germania nella Biblioteca di Wolfenbuttel. La lingua napoletana è alla ricerca di una collocazione e trova spazio nella treatralizzazione e da ciò si comprende l'importanza della parola in queste musiche. Le prime versioni cartacee, frutto del lavoro di trascrittori, ci mostrano una  villanella  a tre voci (in un'epoca in cui il quartetto è la tipologia di ensemble più in voga), stranamente (visti i temi trattati) femminili. Il discorso,però, è molto complesso; il termine "villanella" non vuole individuare solo un'origine contadina ma intende descrivere una canzonetta popolare.  Sicuramente diverse forme di canto polifonico presenti in Campania e legate sia ad un utilizzo sacro nelle processioni pasquali che ad un uso puramente espletato nei campi, tramandate fino ai nostri giorni, hanno avuto un'influenza sulla fonetica e sulla vocalità della villanella. Villanella che fu cantata negli ambienti più popolari come in quelli colti: ma questi due mondi si incrociarono o viaggiarono paralleli? Gli studiosi si dividono su questo punto:alcuni sostengono che vissero separatamente, altri, mostrando una posizione diametralmente opposta, sottolineano che in quei tempi quel tipo di musica non vedeva una netta contrapposizione di classi sociali, anzi i due mondi si intersecavano continuamente. Probabilmente la contaminazione fu notevole ma a senso unico cioè le classi colte vollero fruire del repertorio popolare adeguandolo al proprio stile,con un'armonizzazione polifonica a tre e poi anche a quattro o più voci che riprendevano alcuni usi esecutivi popolari come il procedere del canto a quinte o terze parallele. Così furono molto varie anche le modalità di esecuzione: a voci singole accompagnate da strumenti (calascione, chitarra spagnola, arpa), a più voci ( spesso la parte più acuta era dedicata per consuetudine anche alla voce di ragazzo). Insomma nella prima metà del '500  si cantano villanelle  dappertutto, nelle feste come nelle celebrazioni, nei salotti come nelle piazze. I temi, spesso sarcastici, e le melodie, semplici ma intriganti, saranno sicuramente alla base di questo successo. Grandi musicisti arrivati a Napoli, come  i fiamminghi Orlando di Lasso e Adrian Willaert, si dedicheranno a questa forma con esiti eccellenti anche se, naturalmente,  stilisticamente e nello spirito "meno napoletani". La villanella, al contrario di altre composizioni musicali a lei contemporanee che furono sì famose ma rimasero nei loro confini geografici, troverà invece ampia diffusione in tutta Europa. E forse il merito di questo fu in parte proprio di Willaert che, nei suoi spostamenti, andò anche a Venezia che in quel tempo era la patria dell'editoria musicale. Poco si sa anche di moltii autori; diversi pezzi secondo alcune fonti sono di anonimo mentre secondo altre sono riconducibili ad alcuni  musicisti del tempo. Si parla di Velardiniello (più volte ricordato anche da Giulio Cesare Cortese e Gian Battista Basile) secondo alcune fonti autore   di "Boccuccia de nu persico apreturo", considerata la prima villanella, di Sbruffapappa che qualcuno pensa fosse solo lo pseudonimo di un personaggio noto, di cui si sa che bazzicava nella Taverna del Cerriglio scappando dai creditori, o di Giovanni Leonardo Mollica detto "dell'Arpa" così nominato per le sue grandi capacità nell'uso dell'arpa.

Un altro punto di discussione è se la villanella può essere considerata una prima “canzone napoletana”; anche qui gli studiosi si dividono. Certamente il tema della canzone napoletana classica, quella di fine '800-inizio '900 per intenderci, è fondamentalmente quello dell'amore non corrisposto o è il sincero canto passionale verso la donna amata mentre nelle villanelle si avverte forte l'ironia, il sarcasmo; i testi sono spesso basati sul “doppio senso” a volte espresso in maniera molto evidente. E' però anche vero che ogni epoca ha le sue peculiarità espressive ed è influenzata dalla società in cui è inserita per cui, pur notando evidenti differenze tematiche, non si capisce il perché la villanella non possa essere considerata come la prima espressione di canzone napoletana, quella canzone che, nei secoli, sarà sempre vissuta nel costante intreccio fra colto e popolare.

 

Verso la fine del '500 pian piano cominciarono a svilupparsi nuovi stili musicali e la villanella si spense lentamente ma oggi, con la riscoperta del repertorio, comincia ad essere conosciuta anche da un pubblico meno specialistico che si sta rendendo conto della bellezza di queste meravigliose melodie.

Sergio Majocchi (Ensemble33)

Video su Youtube
Le registrazioni audio sono state effettuate  dal vivo. Per ascoltare mettere in pausa l'ascolto del file di sottofondo in basso alla pagina
Di seguito: Boccuccia de nu persico apreturo/Villanella ch'all'acqua vaje/Vurria ca fosse ciaola/Lo spiritillo brando/Sia maledetta l'acqua/
Si lli femmene purtassero la spada/
Sto core mio

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